La Decima nel Tempo
Vicente Espinel. Come Drexler ha descritto e abbiamo mostrato in articoli precedenti, Espinel viene considerato l’inventore della Decima, struttura poetica tipica del mondo dell’improvvisazione ispanofona: viene chiamata “espinela” appunto. Secondo alcuni studiosi[1], la fama di questo autore non viene tanto da una lettura delle sue opere; ma venne diffusa indirettamente da altri autori, tra tutti gli elogi di Lope de Vega. Spesso citato, sono pochi che hanno letto le opere di Espinel.
Nacque a Ronda, vicino Málaga, nel 1550. Studiò per brevissimo tempo a Salamanca, in cui però tastò con mano la vita picaresca che riempì i suoi occhi e la sua memoria di tipi umani, visioni, conversazioni e di mille trappole che inserirà nelle sue opere. Viaggiò spesso in Italia e nelle Fiandre. Finché non tornò a Madrid, dove si occupò di musica come cappellano e maestro di musica; e in cui morì nel 1624.
È di sicuro l’inventore del prototipo di decima che venne usata da Cervantes, Calderòn de La Barca, Lope de Vega, Góngora, Núñez de Arce e tanti autori contemporanei. Decima che vediamo usata dal repentista cubano Leandro Camargo, nel programma televisivo Palmas y Cañas, in una puntata del 25 settembre 2016, mentre improvvisa sul concetto di Tempo.
David Riondino
Elvio Ceci
Mueve, laúd, tus sonoras,
ramas de mojados frutos; a ver si en estos minutos caben infinitas horas. Las tardes y las auroras hoy son breves, para mí. Tres relojes hay aquí en el plástico guardados, como tres lirios vaciados por un solo colibrí.
En cada reloj de arena, el tiempo sereno bruye; ladrón que de sí mismo huye y con las obras se llena. Silenciosamente suena tras el vidrio iluminado y desciende represado por el cono sin apuro: son dos vidrios de futuro y al cemento del pasado.
El tiempo es la sucesión; el tiempo es el movimiento aplicado al pensamiento; de cosas que solo son. Mágica confrontación del tiempo y la realidad, cuña de la voluntad, que se incrusta en el destino; y una piedra en el camino que conduce a la verdad.
El tiempo no se detiene: nadie lo ha visto salir, nadie lo ha visto venir, ni sabe de dónde viene. Hay quien, cuando le conviene, vira la arena al revés. Pero, con esa altivez, no le dicen ni “hasta luego”; porque el tiempo es sordo, ciego y mudo a la misma vez.
Cuántos poetas orondos por esta escena pasaron. Cuántos poetas gastaron de su vida a los trasfondos. Cuántos repentistas, hondos, por esta escena han venido; lucharon contra el olvido; quedaron en la memoria, trapasaron en la historia con la flecha de Cupido.
El tiempo es un trillo estrecho que nadie le ha visto el fin. El hombre busca un confín de imágenes en su pecho: es que lo miran al derecho luego al revés lo encontró. El tiempo no dice no, siempre te dice que sí. El tiempo vive de tí, pero yo vivo de yo.
Qué cosa yo voy a decir… Ahora estoy improvisando; el tiempo se está gastando, de tiempo voy a morir. Más, lo importante es vivir con este reloj sonoro. Saben que yo tengo un coro de sueño en la garganta y si el tiempo no me canta le pongo sílabas de oro.
[Saben] El tiempo no habla de infierno; ni el paraíso se oculta. Lo que presente resulta, no es clásico ni es moderno. Tú, camarógrafo eterno, ves éste el plástico que aquí tiene tres relojes y si se burla de los vestíbulos; ni, así, de aquí a veinte siglos se van a acordar de mí.
Pero no importa que melle el tiempo, nuestra palabra. Siempre habrá cuna que se abra cuando una tumba se selle, porque la vida es un muelle que estiras y luego encojes; los almanaques son trojes. Y el tiempo es un movimento de abejas del pensamiento; en un trío de relojes.
Saben porqué tienen tres relojes en yendo instantes: porque aquí viven el antes y el ahora y el después. Primero está la niñez blanca como la alegría; luego la adultez bravía y luego la senectud negra como el ataúd, que me va a llevar un día.
Tres etapas de mi vida: una que ya se me fue, otra que ya comencé, otra que es desconocida. Aún no encuentro la salida y ya se borró la entrada. El tiempo es una cascada que fluye constantemente y retrospectivamente tiene el agua congelada.
Pero nunca me quejo del tiempo que se me va; pues Barbarito[2] me da sogue para el espejo. En vez de llorar por viejo le doy gracias a las canas. Qué importa si las mañanas y las tardes se me alejan: los árboles no se quejan de convertirse en ventanas.
Y esto es solamente un frasco, la eternidad dividida; un convenio con la vida, polvo pidiendo chubasco. Yo a veces me muero y nazco; ni yo mismo me acuerdo: mas gano con lo que pierdo. Igual que la tubería que está bajo tierra y cría óxido para el recuerdo.
Ya el tiempo se me acabó. Los minutos se gastaron. Tres relojes se vaciaron y un silencio se llenó. Si alguna arena quedó no es arena, es poesía; porque el reto de Mejía[3] me duplicó los esfuerzos. Y con las riendas a besos detuve yo el todavía.
Me voy. No quiero más gloria que ver estos presidentes que son relojes vivientes, cerniendo instantes de gloria. Y algunos en la memoria Quedará, si me lo gano, al son del punto cubano, un hombre de voz serena con tres relojes de arena y un micrófono en la mano. |
Muovi, liuto, i tuoi suoni,
rami di bagnati frutti; vediam se questi minuti vi entrano infinite ore. Le sere e le aurore sono brevi, per me, oggi. Ci sono qui tre orologi avvolti nella plastica, come tre iris svuotati da un solo colibri.
In ciascuna clessidra, il tempo sereno sfugge; ladro di se stesso che fugge e con le opere si riempie. Silenziosamente suona attraverso il vetro illuminato e discende arginato per il cono senza fretta. Sono due vetri di futuro e il cemento del passato.
Il tempo è la successione; il tempo è il movimento applicato al pensiero di cose che solo sono. Magico confronto tra tempo e realtà, cuneo della volontà, che si conficca nel destino; e una pietra nel cammino che conduce alla verità.
Il tempo non si contiene: nessuno lo ha visto uscire, nessuno lo ha visto venire, né sa da dove viene. C’è chi, quando le conviene, al contrario gira la sabbia. Però, con questa superbia, non le dicono neanche arrivederci: perché il tempo è sordo, ceco e muto allo stesso tempo.
Quanti poeti grandi per questo palco passaron; quanti poeti spesero la propria vita fino in fondo. E improvvisatori, profondi, per questo palco veniron; lottarono contro l’oblio, rimasero nella memoria, passarono nella storia con la freccia di Cupido.
Il tempo è un cammino stretto di cui nessuno ha visto la fine. L’uomo cerca un confine di immagini al suo petto: è che, chi lo vede dritto, poi lo ritrova al contrario. Il tempo non dice di no, sempre ti dice di si. Il tempo vive di te, però io vivo di me.
Cosa posso dire… Ora sto improvvisando; tempo si sta consumando, di tempo dovrò morire. Ma l’importante è vivere con questo orologio sonoro. Sappiate che ho un coro da sogno nella gola e se il tempo non canta gli metto sillabe d’oro.
[Sapete] Il tempo non parla dell’inferno, né si nasconde in paradiso. Ciò che risulta presente, non è classico ne è moderno. Tu, cameraman eterno, vedi questa plastica che qui possiede tre orologi e si prende gioco dei vestiti; così, da qui a venti secoli non si ricorderan di me.
Non importa che passi il tempo, nostra parola. Sempre una culla che schiude mentre una tomba si chiude, perché la vita è un elastico che stende e si restinge; i calendari sono date e il tempo è un movimento di api del pensiero in un cinguettìo di orologi.
Sapete perché sono tre gli orologi scandendo istanti? Perché qui vivono il prima e l’adesso e il dopo. Per primo c’è l’infanzia bianca come l’allegria; dopo l’età adulta, selvatica, e dopo la senescenza nera come la bara, che mi porterà via un giorno.
Tre tappe della mia vita: una che già se ne andò, un’altra che inizierò, l’altra che è sconosciuta. Ancora non trovo l’uscita e già mi si cancellò l’entrata. Il tempo è una cascata che fluisce costantemente e retrospettivamente mantiene l’acqua congelata.
Però io non mi lamento del tempo che se ne va; così Barbarito da corda a il mio specchio[4]. Invece di piangere da vecchio lo ringrazio per i capelli grigi. Che importa se le mattine e le sere mi si allontanano: gli alberi non si lamentano di convertirsi in finestre.
E questo è solo un flacone, l’eternità divisa; un accordo con la vita, polvere che chiede pioggia. A volte muoio e rinasco: né io stesso mi ricordo: guadagno con ciò che perdo. Uguale alla tubatura che è sottoterra e matura ossido per il ricordo.
Già il tempo terminò. I minuti si consumarono. Tre orologi si svuotarono e un silenzio si pienò. Se qualche sabbia si fermò non è sabbia, è poesia; perché la sfida di Mejia mi duplicò gli sforzi. E con le briglie ai baci mi fermai perfino io.
Vado. Non voglio più gloria che vedere questi presidenti che sono orologi viventi, vagliando istanti di gloria. Nella memoria di qualcuno rimarrà se me lo merito, al suono del punto cubano, un uomo di voce serena con tre orologi di sabbia ed un microfono in mano. |
[1] Trapero M., Vincente Espinel, la décima espinela y lo que de ellos dicen los decimistas, actas del Vi encuentro-Festival Iberoamericano de la Décima y el Verso Improvisado. Las Palmas de Gran Canaria: Universidad de La Palmas, Cabildo de Gran Canaria y Acade, 2000: I, Estudios, 117-137.
[2] Barbarito Torres, colui che diede le clessidre al presentatore.
[3] Nome del presentatore di Palmas i Cañas
[4] Ego